
Futuro Dirigibile è il primo album della cantautrice bolognese REA. Maria Mircea – in arte Rea – ha studiato alla Music Academy di Bologna ed è divenuta nota al grande pubblico grazie alla partecipazione ad Amici 2021. Da questa esperienza nasce il suo primo EP Respiro(2022), prodotto dall’amico d’infanzia Michael Caldi (Marka), cantato in vari eventi come il Primo Maggio a Bologna e su molti palchi, a partire dal Locomotiv Club (BO); questo ricco tour porta Rea ad aprire i concerti di Dean Lewis e di Russell Crowe. Lo scorso anno, inoltre, ha partecipato a Sanremo Giovani con Cielo Aperto, che ha anticipato Futuro Dirigibile.
Hai detto che il titolo del tuo album, Futuro Dirigibile, è una metafora del tuo rapporto con la musica: come un dirigibile è affascinante, fragile, ma impossibile da ignorare. Come ti è venuta in mente questa immagine poetica?
In verità mi è venuta guardando Alice in Borderland, una serie bellissima in cui a un certo punto appaiono questi dirigibili. In generale il dirigibile, nel periodo in cui ho scelto il nome, è diventato un mezzo che, anche se non vedi spesso, mi capitava di incontrare in continuazione, forse anche per via dell’algoritmo: appena cerchi qualcosa, poi ti compare ovunque. Non so bene perché, ma ho deciso che mi piaceva come parola e come concetto. Poi l’ho accostato a “futuro” perché la prima traccia si chiama così e volevo che ci fosse una ciclicità: un cerchio che si apre e si chiude all’interno dell’album.
E quando hai capito che volevi davvero «pagare il biglietto e salire su quel dirigibile» per iniziare questo viaggio, nonostante i rischi?
Penso abbastanza recentemente. Quando ero piccola lo facevo un po’ per gioco, poi sono andata ad Amici e, chiaramente, l’anno dopo c’è stato un po’ di lascito di quell’esperienza. Poi è seguito un momento in cui le cose si sono oggettivamente riappianate e mi sono trovata in un bivio: o continuavo davvero su questa strada o mollavo tutto per concentrarmi al 100% su qualcos’altro. La musica è abbastanza totalizzante, farla a metà per me non aveva senso. Soprattutto sento che la musica è una cosa che proprio non riesco ad allontanare da me, anche per quanto sia ancora un sacrificio. I risultati ora stanno arrivando e, anche se negli anni scorsi vedevo poca luce, ero comunque contenta di andare avanti, perché era – ed è – qualcosa che mi piaceva fare.
E ogni tanto ti capita di pensare di voler scendere da quel dirigibile? Cosa ti fa restare in questo ambiente?
Mi fa restare proprio il fatto che fare musica è l’unica cosa che mi calma quando sto male, quando sono in ansia, quando provo rabbia. L’unica cosa che mi permette di risanare tutto è mettermi a suonare o anche solo ascoltare musica; penso di avere una connessione talmente forte che non posso più a farne a meno. Quindi per questo io continuo ad andare avanti. E poi in generale penso sempre che serva del sacrificio, non nel senso di sacrificare te stesso o quasi annullarti, però di fare gavetta. Io ho avuto la fortuna e la sfortuna di entrare in un programma, che mi ha dato delle occasioni, ma non è una crescita organica. C’è bisogno anche di quella fatica per arrivare ai risultati e dire “che bello”: dieci persone che ti ascoltano sembrano poche, ma in realtà sono dieci persone che si sono messe lì, hanno ascoltato quello che fai e questa è sempre una conquista. Ecco, imparare a ridimensionare tutto è importante.
Passando alle tracce, hai detto che Cielo Aperto ha rappresentato un punto di svolta, perché ti sei sentita messa a nudo. Anche in Quasi quasi parli della sensazione di essere sempre messa sotto esame, come davanti ad un patibolo. Cosa ti ha spinto ad affrontare quella paura del giudizio, invece di ritrarti e quanto è importante imparare a lasciarsi andare all’imperfezione?
Secondo me è importantissimo guardarsi allo specchio, mettersi di fronte a un giudizio, sia tuo personale verso se stesso sia esterno. Perché è solo lì che vedi, secondo me, quanto tieni alle cose. È semplice tenerci quando le cose vanno bene, quando tutti ti dicono che sei brava e non hai un riscontro; è difficile quando le cose vanno male o quando ti senti giudicata da qualcuno che magari non conosce neanche il tuo percorso. Il confronto con l’esterno e l’autoanalisi sono fondamentali: è impossibile crescere senza. Le volte in cui mi sono fermata e mi sono detta “brava” facendomi pat pat sulla spalla, sono quelle in cui poi ho fatto peggio. C’è sempre qualcosa da imparare dal confronto; quando invece vivi nella tua bolla in cui sembra che sia tutto giusto e perfetto, spesso non conosci certe parti di te stesso e non ti metti veramente in gioco. Cielo aperto parla proprio di questo: della rottura di cxxxxxxi di chi dà giudizi in modo tagliente senza sapere quanto sforzo c’è dietro le cose. La questione è proprio il giudizio costruttivo vs. il giudizio non costruttivo.
Quasi quasi invece è un po’ più riflessiva: parla del fatto che io ho una sindrome dell’impostore abbastanza grande. È una canzone per dirmi che posso anche chillarmela ogni tanto, che posso sbagliare e che ogni cosa è utile: si sbaglia e si impara. Non esiste il fallimento, è un costrutto della nostra società che deve sempre classificare tutto in vincenti-perdenti, giusto-sbagliato. Ma non è così: se facessimo tutto bene, prima di tutto sarebbe una noia, ma poi come si farebbe ad andare avanti?
In un post Instagram hai detto che inizialmente hai lasciato in un cassetto Città Vuota perché pensavi che non avrebbe avuto speranze nel panorama musicale. Invece, eccola qui. Cosa ti ha fatto cambiare idea e cosa si prova nel realizzare di aver avuto, per fortuna, torto?
È una canzone a cui tenevo tantissimo; quando l’ho scritta ho pensato che fosse una delle canzoni migliori che avessi scritto, almeno al tempo. Però non riuscivo a darle una forma sensata: mi piaceva, ma non era centrata. Per questo è stata la prima canzone che ho accudito. Di solito appena scrivo devo assolutamente produrre e poi pubblicare, perché altrimenti inizia a non piacermi più. Invece per quest’album – e in generale da quella canzone in poi – ho deciso di far passare un po’ di tempo, di vedere se il brano ha ancora un significato per me. Anche questa bulimia musicale che c’è adesso, per cui si fa uscire roba in continuazione, per me è sbagliata. Penso che ci voglia tempo per fare musica bella: fare le cose di fretta a volte funziona – ed escono delle hit –, però, secondo me è importante anche dare spazio alle cose, dare tempo alla musica.
In generale molte tue canzoni sembrano partire da osservazioni piccole – persone incontrate per strada, vecchi amici, pensieri fugaci – e poi esplodere in riflessioni più ampie. Come nasce solitamente una tua canzone?
Di solito nasce da una frase che mi viene in mente o che mi dice qualcuno o da un concetto che poi decido di espandere. Molto spesso è legato alla mia sfera personale, alle persone che incontro, alle realizzazioni che faccio da 21enne, magari cose che altri hanno già capito. A volte riascoltando le mie canzoni più vecchie dico “ah vabbè, grande realizzazione” (ride) però per me allora aveva una certa valenza.
In riferimento a Dirigibile hai poi detto anche una cosa, secondo me, bellissima: «diventare grandi significa solo essere bambini con più esperienza e un pizzico di malinconia». Oggi, da 21enne, cosa diresti alla te di 7 anni che cantava per la prima volta?
Direi che è la stessa cosa, che non cambia niente. Io provo le stesse emozioni che provavo allora. La prima volta che sono salita sul palco a 7 anni ero talmente in ansia che non sono riuscita a cantare, mi sono messa a piangere e sono scesa. Sento ancora quella cosa ogni volta che salgo, almeno i primi 5 secondi, ma è veramente solo una questione di esperienza: più vivi e più fai, più impari a calibrare il mondo dentro di te e il mondo fuori di te.
A proposito, nel tuo percorso ci sono tappe importanti, come Amici e Sanremo giovani, ma anche esperienze meno prevedibili come aprire il concerto di Russell Crowe. Cosa ti hanno insegnato questi momenti così diversi tra loro?
Che la è vita inaspettata, Tutte queste cose sono arrivate quando meno me l’aspettavo, in momenti di down in cui pensavo di non star facendo niente. E poi mi hanno insegnato che ci sono mille modi di fare musica: non so se diventerò mai abbastanza famosa e avrò mai abbastanza pubblico perché diventi un lavoro effettivo, però a prescindere penso che rimarrò sempre in questo ambito, perché è proprio una cosa che mi piace a 360 °, sia da addetta ai lavori sia da musicista.
Dopo Sanremo Giovani, sei finita in copertina della playlist SCUOLA INDIE, prima con cielo aperto e ora di nuovo. Senti di appartenere alla scena indie italiana di oggi?
Sì, anche se la definizione di indie sta cambiando. Qualche anno fa virava più verso Franco 126, Gazzelle, Calcutta, mentre adesso ci stiamo aprendo verso un indie internazionale, con sonorità un po’ più underground. Quindi sì, sento di appartenere a questa scena in quanto indipendente e perché faccio una musica che non segue determinati canoni. Io faccio indie, ma c’è anche una componente di pop nelle melodie che scrivo: è difficile astenersi totalmente dal POP. Diciamo che è un po’ tutto un ibrido.
E c’è qualche altro emergente di questa “scuola” con cui vorresti fare un feat?
Mille! (ride) Io sono innamorata di un sacco di artisti. Ormai è abbastanza famosa, ma mi è sempre piaciuta tantissimo Emma Nolde, che sta crescendo tantissimo di numeri. Poi mi piacciono tanto i Post Nebbia, i Delicatoni, Coca Puma… ma veramente potrei andare avanti all’infinito. Ci sono mille artisti italiani, secondo me, super validi al momento.
Ci sono state delle influenze più forti di altre per la scrittura e per la musica di Futuro Dirigibile?
Nel periodo in cui ho scritto giù la maggior parte delle canzoni, ascoltavo molto il new rock inglese, alla The strokes e i Technicolors, e poi un po’ di punk, come i Clash. Però è difficile che trovi un’artista da cui prendere ispirazione, anche perché io non riesco a fare musica con una reference. Ascolto tanta musica prima e durante la scrittura, ma se riesco a riconoscere subito un’artista in qualcosa che scrivo mi dà fastidio, perché vuol dire che quella cosa l’ha già fatta lui o lei.
Ultima domanda, se avessi un dirigibile piccolo, tutto tuo, chi e cosa porteresti con te per affrontare il viaggio?
Dipende dove andiamo, però presumo sia un viaggio medio-lungo. I dirigibili non sono grandissimi, portano al massimo 20 persone, quindi porterei il mio migliore amico che fa musica – è un produttore e fonico – e in generale tutti i miei amici musicanti. È un periodo in cui ho solo molta voglia di suonare, quindi farei una mega jam su questo dirigibile, con un sacco di strumenti, sperando non esploda tutto per sovraccarico di corrente, ma vabbè (ride). Poi chiaramente ci porterei anche i miei genitori, il mio gatto e il mio ragazzo.
Futuro Dirigibile è uscito il 9 maggio per Vertical Music Records ed è stato scritto da REA e prodotto da Claudio Marciano tranne per Città Vuota prodotta da Simone Santi e per Ruggine prodotta con Pietro Berchiatti e Francesco De Valeri.
Articolo a cura di Emma Salone

Fin da piccola appassionata di cantautorato, per me un bel testo è più importante di ogni cosa. La musica è l’unica catarsi.