Venerdì 24 gennaio è uscito “Indi”, il sesto album in studio di Gazzelle, e come sempre il cantautore romano non tradisce le aspettative. Con una fusione di suoni anni Ottanta, synth ipnotici e ritmi che sembrano caricare l’emotività dei suoi brani, Indi è un viaggio profondo, ma mai troppo pesante, nei territori dell’amore non corrisposto, delle relazioni in crisi e delle memorie che ci definiscono.
Flavio Pardini, nome dietro al progetto Gazzelle, è ormai un protagonista della scena musicale italiana, capace di raccontare storie di quotidianità, ma soprattutto di sentimenti universali, con una semplicità disarmante. Se da un lato Indi segna la fine di un’era indie, quella che sembrava aver preso piede nel 2017 con il boom di artisti come Coez, Calcutta e i Thegiornalisti, dall’altro apre a una nuova dimensione del pop, più mainstream, ma non per questo meno autentico.
L’album si apre con Piango anche io, un brano che mescola malinconia e speranza in un crescendo sonoro, dove il ritmo cresce come un’onda che ti avvolge per poi scomparire, lasciandoti con un senso di quiete. Eppure è proprio da questo brano che emerge l’approccio unico di Gazzelle: parlare della vita, del presente, senza troppi fronzoli. Con la citazione da Forrest Gump che introduce la canzone, l’artista ci invita a riflettere sull’imprevedibilità di ogni cosa: “È come se la farina sapesse parlare della pizza che diventerà.” Un modo di dire che ridimensiona la grandezza della musica, rendendola veicolo di una verità che si fa strada tra le emozioni di ognuno di noi.
Un altro pezzo forte dell’album è sicuramente Noi no, dove la nostalgia per il passato si fa protagonista. La frase “quel 2017 non ritornerà” fa da eco a un’epoca ormai passata, un’era musicale che non tornerà più. La malinconia non è solo un tema, ma anche il cuore pulsante di un sound che fa riferimento al Gazzelle degli inizi, pur mantenendo una sua evoluzione.
L’album non manca di tracce più dinamiche, come Stammi bene, un brano che si fa quasi un grido liberatorio verso qualcuno che ci ha lasciato o ha deluso, ma anche pezzi come Il mio amico si sposa, un inno ironico alla libertà, dove il folk si mescola a un suono liturgico, mettendo in luce la tensione tra aspettative sociali e il nostro desiderio di evasione. Un gioco di contrapposizioni che rende Indi particolarmente interessante, come una riflessione sul mondo che cambia ma che non smette di farci sentire legati ai suoi schemi.
La forza di Gazzelle, come sempre, sta nella sua capacità di parlare a tutti, senza mai risultare troppo criptico o distaccato. Con Indi, l’artista riesce a mantenere quella lingua essenziale che lo ha contraddistinto sin dagli esordi, ma con un occhio al futuro, al suo pubblico che ormai lo considera quasi un amico con cui condividere gioie e dolori.
Alla fine, come in Non lo sapevo, l’album si chiude con una riflessione profonda: “In questa nostalgia ci ho costruito casa mia.” Ecco, forse è proprio questo l’essenza di Gazzelle: costruire un rifugio musicale dove ognuno di noi può riconoscersi, senza giudizio, con tutta la bellezza e il caos che la vita ci regala ogni giorno.
Con Indi, Gazzelle non solo scrive un album, ma traccia una fotografia di se stesso, di un percorso artistico che ormai è diventato il linguaggio di una generazione in cerca di semplicità, di realtà e, soprattutto, di un po’ di libertà.